LE IMPRESE CESSATE NEL 2015


Nel 2015 in Italia sono cessate oltre 325.000 imprese, in calo (-4%) seppure contenuto rispetto a quanto fatto registrare nei dodici mesi precedenti. Nonostante la situazione non sia delle più rosee, dall’analisi della serie storica degli ultimi otto anni il 2015 si contraddistingue per il miglior risultato sul fronte delle chiusure, confermando l’inversione di tendenza registrata nel 2014.

cessate

Le cause principali della cessazione sono: la cessazione di ogni attività (55,5%), la chiusura della liquidazione (5,2%), lo scioglimento (4,9%), il trasferimento in altra provincia (3,7%),la cessione dell’azienda (2,6%), altre cause (1,9%), la chiusura del fallimento (1,8%), il decesso del titolare (1,7%) e la fusione mediante incorporazione in altra società (1.4%).

A livello territoriale, le cessate si concentrano per oltre l’80% tra Lombardia (16,1%), Lazio (10,4%), Campania (8,8%), Piemonte (8,6%), Emilia-Romagna (8,2%), Veneto (8%), Sicilia (7,4%), Toscana (7,1%) e Puglia (6,2%).

La distribuzione provinciale delle cessate ricalca a grandi linee quella regionale. Le province maggiormente colpite, infatti, sono: Roma (7,9%), Milano (5,4%), Torino (4,7%), Napoli (4%), Brescia (2,2%), Salerno (2%), Bari (1,8%), Bologna (1,8%), Verona (1,7%), Firenze (1,7%), Palermo (1,7%), Bergamo (1,7%), Cesena (1,6%), Treviso e Padova (entrambi 1,5%).

I dati, oltre a sottolineare una certa concentrazione, fotografano il momento “d’impasse” trasversale del mondo imprenditoriale, che trascende sempre più la dicotomia “tradizionale” tra Meridione e Settentrione.

A livello di forma giuridica le imprese individuali si attestano intorno al 70% (-5,8% rispetto al 2014), tra queste l’80% si trova tra Lombardia (14,7%), Lazio (9,4%), Campania (8,7%), Piemonte (8,6%), Sicilia (8,4%), Emilia-Romagna (8,1%), Veneto (7,8%), Toscana (7,3%) e Puglia (6,8%). Il dato benché confermi la debolezza “cronica” di questa forma organizzativa, ne denuncia anche il contestuale e progressivo abbandono a favore di forme organizzative più “robuste” e strutturate, capaci d’ intercettare gli incentivi pubblici, ma soprattutto più attraenti per i nuovi investitori.

LE IMPRESE CESSATE NEL 2015


Nel 2015 in Italia sono cessate oltre 325.000 imprese, in calo (-4%) seppure contenuto rispetto a quanto fatto registrare nei dodici mesi precedenti. Nonostante la situazione non sia delle più rosee, dall’analisi della serie storica degli ultimi otto anni il 2015 si contraddistingue per il miglior risultato sul fronte delle chiusure, confermando l’inversione di tendenza registrata nel 2014.

cessate

Le cause principali della cessazione sono: la cessazione di ogni attività (55,5%), la chiusura della liquidazione (5,2%), lo scioglimento (4,9%), il trasferimento in altra provincia (3,7%),la cessione dell’azienda (2,6%), altre cause (1,9%), la chiusura del fallimento (1,8%), il decesso del titolare (1,7%) e la fusione mediante incorporazione in altra società (1.4%).

A livello territoriale, le cessate si concentrano per oltre l’80% tra Lombardia (16,1%), Lazio (10,4%), Campania (8,8%), Piemonte (8,6%), Emilia-Romagna (8,2%), Veneto (8%), Sicilia (7,4%), Toscana (7,1%) e Puglia (6,2%).

La distribuzione provinciale delle cessate ricalca a grandi linee quella regionale. Le province maggiormente colpite, infatti, sono: Roma (7,9%), Milano (5,4%), Torino (4,7%), Napoli (4%), Brescia (2,2%), Salerno (2%), Bari (1,8%), Bologna (1,8%), Verona (1,7%), Firenze (1,7%), Palermo (1,7%), Bergamo (1,7%), Cesena (1,6%), Treviso e Padova (entrambi 1,5%).

I dati, oltre a sottolineare una certa concentrazione, fotografano il momento “d’impasse” trasversale del mondo imprenditoriale, che trascende sempre più la dicotomia “tradizionale” tra Meridione e Settentrione.

A livello di forma giuridica le imprese individuali si attestano intorno al 70% (-5,8% rispetto al 2014), tra queste l’80% si trova tra Lombardia (14,7%), Lazio (9,4%), Campania (8,7%), Piemonte (8,6%), Sicilia (8,4%), Emilia-Romagna (8,1%), Veneto (7,8%), Toscana (7,3%) e Puglia (6,8%). Il dato benché confermi la debolezza “cronica” di questa forma organizzativa, ne denuncia anche il contestuale e progressivo abbandono a favore di forme organizzative più “robuste” e strutturate, capaci d’ intercettare gli incentivi pubblici, ma soprattutto più attraenti per i nuovi investitori.

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